Chi sarà questo Jack Folla? Lo squartatore? Perché l’hanno condannato alla sedia elettrica? E che s’è inventato per finire nel braccio della morte?

Jack è un italiano di madre newyorkese. Cresce a Roma, nel quartiere Centocelle e, improvvisamente, dà una svolta alla sua vita: emigra negli Stati Uniti dopo il black out nei rapporti con il fratello ( da sempre agli antipodi del carattere ribelle di Jack, vendette a sua insaputa l’intera collezione di dischi) e, soprattutto, per il clima di tensione che incombeva in Italia in quegli anni di grande fermento sociale.

Una notte di aprile, nel 1994, un malvivente gli punta contro una pistola, vuole rapinargli l’incasso del piccolo ristorante, che all’epoca Jack gestiva in un angolo di Central Park. Inizia una colluttazione, parte un colpo. Il delinquente muore. Jack si presenta spontaneamente alla polizia, denuncia il fatto e viene processato per direttissima. La sentenza lo condanna a morte. Jack viene chiuso in un carcere di massima sicurezza, in quello stesso aprile del ’94. Viene fissata l’esecuzione per il 25 giugno 1999.

Così inizia la leggenda di Jack Folla, che inizia a trasmettere ,come un qualunque dj ,la colonna sonora della sua vita: il racconto dello scandire del tempo che lo separa dalla sedia elettrica, la suggestione della sua voce che parla agli ascoltatori di Radio2 da una cella del "braccio della morte". E' un uomo che può dire davvero ciò che pensa, senza finzioni, non ha molto tempo e più nulla da perdere.

Jack racconta le verità che fanno male, le notize taciute, la memoria tradita, dibatte del mondo ipocrita che ha conosciuto, delle struggenti realtà che ha avuto modo di scoprire, delle tante menzogne e di quello che definisce lo “sciacallaggio legalizzato”, che con disinvoltura si diffonde nel nostro paese. Sono quelli –secondo Jack - che inculcano falsi miti nelle teste della gente per poterla strumentalizzare e gestire in ogni occasione. Sciacalli ben più pericolosi di quelli che Jack incontra nel penitenziario dove trascorre i suoi ultimi momenti di vita. Racconta dei giri di denaro, che si celano dietro insospettabili mascherate, dell’irriconoscenza diffusa, invita all’indignazione di fronte alle palesi ingiustizie. E, infine, denuncia l’immotivata insoddisfazione collettiva, quando- denuncia con forza- basterebbe esser messi alle strette, come lui, per tirare fuori il meglio di sé stessi e migliorare-dice- “migliorandosi”. “Darsi un calcio in culo e rigare dritto, senza rompere le palle con lamenti da viziati e manie da prima donna”. Il suo appello ai tanti ascoltatori che lo cercano,che vogliono mettersi in contatto con lui è “ rimboccarsi le maniche e combattere”. Non senza una punta di malinconia e di sofferta solitudine:“dov’è il mio angelo custode?”-si chiede Jack- “Dovrebbero averlo tutti ma il mio non lo vedo- grida al mondo dal buio della sua cella . "Mi piacerebbe averne uno come quelli che dipingeva Melozzo da Forlì, un angelo con la chitarra. Vorrei un Jimmy Hendrix con le ali. Ogni notte lo attendo per ore e l’angelo custode non arriva. E il vostro? Sorvola gli oceani dell’emisfero antartico, nuota nel mare agitato, è lì con voi il vostro angelo custode. Chiamatelo semplicemente per nome. Chiamatelo Jack”.